Più doloroso di non avere accanto chi si ama c’è solo non sapere dov’è, chi si ama.
Tutto inizia da un fatto di cronaca, un terribile evento che ha lasciato tutti con il fiato sospeso. La scomparsa delle due gemelline Alessia e Livia, rapite dal padre Mathias Schepp e portate via a una madre che non riesce, a distanza di 4 anni, a superare il dolore per una perdita che non ha nemmeno un nome sul dizionario. Irina Lucidi, avvocato italiano residente in Svizzera, si è vista sottrarre le figlie dall’ex marito che, prima di suicidarsi buttandosi sotto un treno a Cerignola, le ha lasciato un biglietto crudo e agghiacciante: “le bambine non hanno sofferto, non le vedrai mai più”. Parte da qui l’ultimo romanzo della giornalista Concita De Gregorio Mi sa che fuori è primavera. Sì, avete letto bene, un romanzo. Perché nonostante alla base ci siano fatti realmente accaduti, la storia si dipana in un racconto intimo e intenso, sulla forza dell’amore e il potere salvifico della parola.
Mi sa che fuori è primavera andrebbe inserito nella rubrica di libroterapia sotto la voce “lutto/perdita/assenza”. Grazie a questo romanzo, infatti, è la protagonista stessa, Irina, che cerca di superare l’immenso dolore per la perdita delle figlie, affidandosi al potere terapeutico della parola e del racconto.
Dunque è con questa realtà che dobbiamo lavorare: starci dentro, non dimenticare ma non impazzire nel ricordo, non rivive eternamente il tempo passato, provare a immaginarne uno futuro.
È stata lei a cercare Concita ea voler raccontare la sua storia perché venisse in qualche modo messa su carta. E la giornalista, come sempre, l’ha fatto in maniera magistrale, dedicando 120 pagine fitte e avvolgenti a quella che potrebbe essere la storia di tutti noi. Perché le cose, nella vita, succedono e basta, spesso senza una ragione apparente, spesso senza tenere conto di colpe e meriti, spesso senza interpellarci.
C’è bisogno di paura per avere coraggio. È l’assenza la vera misura della presenza. […] L’assenza è una presenza costante: ti sfida in un corpo a corpo quotidiano, ti assedia. Ti vuole nella lotta, misura il tuo respiro. La nostalgia è fisica, poi. È proprio impossibile colmare la mancanza di un corpo vivo: quell’odore, quella morbidezza della pelle, quella voce quando ti chiama.
Ma a tutto si sopravvive. Il dolore da solo non uccide, dice l’autrice, è così anche la protagonista. C’è sempre la possibilità di tornare a vivere, nonostante tutto.
Era come se tutti mi dicessereo: come puoi dimenticare, come puoi lasciarti indietro quello che ti è successo, come puoi partire per una vacanza, bene un bicchiere di vino, amare un uomo, farti amare nel piacere, dormire dopo. Come puoi essere ancora viva, insomma, è avere voglia di stare ancora nel mondo. Hai dimenticato le bambine? Vergognati. È come se mi dicessero che sono morta anche io, ed è uno scandalo che mi ribello. Ma io sono viva. […] Dimenticare è impossibile, ma vivere si deve perché la natura ha deciso cosi: il dolore da solo non uccide. L’assenza di un amore si ripara con altro amore.
Come potremmo vivere senza placare la memoria, che non vuol dir arrendersi, o dimenticare, ma lasciare che il caldo si raffreddi, che il bagnato si asciughi, che ogni cosa si trasformismo nasca un inizio da ogni fine. Che la fame si sazi per tornare a essere fame. Che il desiderio si estingua per rinascere. Che il sonno dia pace alla stanchezza per avere sonno di nuovo.