La figlia femmina – Anna Giurickovic Dato

“La figlia femmina” è un esordio letterario, cioè è il primo romanzo scritto da Anna Giurockovic Dato che viene pubblicato e venduto. Perché ribadirlo subito a inizio recensione? Perché se lo leggete, mica ci credete, da tanto che è ben scritto.

Tra le fortune di essere una bookblogger, oltre a quella di aver conosciuto tanti nuovi amici appassionati di libri come me, c’è quella di poter ricevere i libri in anteprima. È un po’ un sogno che si realizza, visto che da “piccola” volevo fare l’editor e leggere i libri prima che venissero stampati, per giudicare se erano meritevoli o no.

Sì, sono sempre stata molto ambiziosa.

Oggi ho un po’ meno soldi di un editor, ma forse ho anche più potere, perché con la mia recensione posso esprimere il mio parere sul testo e magari tentare di convincervi ad acquistare il libro. E per questo romanzo direi che vale la pena tentare.

«Una storia disturbante, raccontata con tatto e maestria, che si legge tutta d’un fiato»

È il commento di Simonetta Agnello Hornby, che compare in quarta di copertina. E che riassume davvero a meraviglia quello che “La figlia femmina” rappresenta.

[amazon_link asins=’8893250926′ template=’ProductAd’ store=’langdeilib-21′ marketplace=’IT’ link_id=’ba878947-e259-11e6-a673-b7fba71d2ee6′]Al centro della storia il rapporto padre-figlia, fatto di carezze, gesti affettuosi e un inconfessabile segreto. A raccontarlo Silvia, la moglie/madre talmente innamorata di quest’uomo più grande di lei al punto da non riuscire a (o non voler) vedere la sua malattia.

Già da quel soggiorno avrei dovuto accorgermi delle stranezze di mio marito, ma l’amore immenso che mi rendeva cieca, la pigrizia di una mente felice e il mio totale abbandono allontanarono dai miei occhi quello che oggi mi torna sotto forma di ricordo in maniera chiara e limpida, e mi porta a pensare che avrei potuto salvare mia figlia.

Sullo sfondo, protagonista attiva e passiva allo stesso tempo, c’è Maria, giovane bambina agli albori dell’adolescenza, vittima di una violenza che la fa chiudere in se stessa, e la rende violenta e schiva. La madre giustifica ogni volta i suoi atteggiamenti come capricci, anche quando Maria tenta di sedurre il nuovo compagno della mamma, in un gioco che rasenta il limite della decenza.

Sempre, per tutti i miei giorni, sono stata in balia degli umori di mia figlia. Senza alcuna previsione, senza nessuna regola. Senza che io possa farci niente lei da un sorriso passa al pianto, da una premura passa a un’aggressione.

La sottile trama psicologica che si delinea mano a mano che si sfogliano le pagine, a tratti con disgusto, ribrezzo e dolore (non certo per la scrittura, quanto per le vicende), sonda con violenza le fragilità umane più profonde e l’incapacità degli adulti di difendere i bambini. Ma fa luce anche in quel buio che è l’animo dell’uomo, fatto – come al luna – di due facce: una ben visibile e una sempre nascosta.

La vicenda ci viene raccontata attraverso un grande flashback, che sembra solo un brutto sogno, ma che in realtà è una dolorosa verità. A scatenare questi ricordi un pranzo durante il quale Silvia invita l’uomo di cui si è innamorata, dopo essere rimasta vedova, per farlo conoscere alla figlia. E con il quale la piccola Maria gioca civettuola a fare la “donna”, sotto lo sguardo basito della madre che finge di assopirsi per non voler vedere (di nuovo).

Attenzione: è un romanzo forte, crudo, che mette in discussione ogni certezza, che si insinua nella mente e non vi abbandona più. Un romanzo che apre mille e una domande: Maria è davvero innocente? È solo la vittima, o è anche carnefice del suo destino?

Tutti i personaggi – Silvia, Giorgio e la piccola Maria stessa – sono allo stesso tempo colpevoli e innocenti e passibili di giudizio. Anche se giudicare non spetta a noi ma a Entità superiori, il lettore si trova a schierarsi con l’uno o con le altre, e a ribaltare, a poche pagine di distanza, ogni sua opinione.

«Dio almeno mi crede».
«Tutti ti crediamo».
«Tu non mi crederesti mai».
«A cosa non dovrei credere, Maria?».
«Che io sono un diavolo».
«Tu sei un angioletto, sei una bimba».
«Non è vero. Io il diavolo ce l’ho qua.
Ma non lo so chi ce l’ha messo, ci sono nata così».

Anna Giurickovic Dato ha appena 27 anni ma scrive già come una professionista della letteratura, che sa scavare in profondità nell’animo umano, portando alla luce la più sottile ambiguità. E che sa colpire il lettore con parole taglienti e una narrazione disarmante. È sicuramente un nome da tenere d’occhio.

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