“La ferrovia sotterranea”, tra romanzo storico e fantascienza

Il primo appuntamento del 2019 del Book Lover Club Verona è stato un successo. Il libro oggetto di dibattito era “La ferrovia sotterranea” di Colson Whitehead (SUR edizioni, traduzione di Martina Testa) ed è piaciuto a tutti i partecipanti, soprattutto a me.

Io l’avevo letto un po’ di mesi fa, quando il libro era da poco stato insignito di due riconoscimenti importantissimi: il Pulitzer e il National Book Award, entrambi nel 2017. Erano vent’anni che un romanzo non vinceva, nello stesso anno, entrambi i premi. Quindi le premesse buone c’erano tutte.

E sono state più che confermate.

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La ferrovia sotterranea – Colson Whitehead
(SUR)

Il romanzo racconta la fuga di Cora, giovane schiava africana costretta a lavorare in una piantagione di cotone della Georgia. Siamo a metà 1800, in pieno proibizionismo e le prime 50/60 pagine sono una sorta di trattato storico su quella che era la condizione negli schiavi nell’America di quegli anni.

Il ritmo della narrazione, in questa prima parte, è un po’ rallentato. L’autore racconta la storia della nonna e della mamma di Cora, entrambe costrette alla condizione di schiave per dei bianchi senza scrupoli.

Ed è proprio a causa di questi primi capitoli così narrativi, quasi si trattasse di un romanzo storico, che molte lettrici del book club hanno faticato un po’ nella lettura.

Ma è bastato attendere un po’ per venire travolti da un ritmo decisamente più incalzante e ritrovarsi tra le mani un romanzo completamente diverso. A me sembrava di guardare, anzi di leggere, un western americano, con gli inseguimenti in territori disabitati, le balle di fieno che rotolano sulla terra e il sole cocente che annebbia la vista. Mancavano i cavalli, è vero, ma la narrazione asciutta e serrata di Whitehead sa tenere comunque con il fiato sospeso.

La fuga di Cora dalla piantagione, assieme allo schiavo Cesar (promotore dell’idea), copre l’intera lunghezza del libro e passa dalla Carolina del Sud a quella del Nord, dal Tennessee all’Indiana, in un crescendo di pathos e tensione.

Non è semplice entrare in sintonia con la protagonista. È uno di quei personaggi che o la ami o ti è quasi indifferente, nonostante sia l’attrice principale di tutto il libro. La vita l’ha messa davanti a tante prove, tutte dure e difficili da superare, che è come se si fosse costruita attorno una corazza inattaccabile dai sentimenti e dalle emozioni. Il suo atteggiamento così distaccato, quasi freddo e privo di emozioni, porta il lettore a prendere a sua volta le distanze.

Io però a Cora mi ci sono affezionata molto. Mi sembrava proprio di essere al suo fianco, mi sentivo partecipe di ogni suo dolore e lottavo/speravo con lei affinché riuscisse a superare ogni ostacolo.

Cora di prove, nel suo percorso, ne ha dovute affrontare davvero tante. Violenza, sopprusi, discrimazione, insulti, offese, torture. Stiamo parlando di più di 150 anni fa, ma in realtà la situazione in alcuni casi può sembrare surrealmente molto attuale. Ed è forse questo che più mi ha tenuta incollata alle pagine. Sai che si tratta di una storia passata, ma è pur sempre Storia.

La parte “fantascientifica” è quella che riguarda la ferrovia sotterranea. Nella realtà, come attestano i documenti, si trattava di una rete nascosta (sotterranea, appunto) di persone che aiutavano gli schiavi a fuggire dagli stati proibizionisti, facendogli raggiungere gli stati del Nord e il Canada. Nel romanzo di Whitehead questa rete prende le sembianze di una vera e propria ferrovia, con binari che corrono sottoterra, stazioni ferroviarie e panchine immerse nelle cavità più profonde. Una specie di metro ante-litteram, se vogliamo.

Complessivamente direi che è stata per tutti i partecipanti al BLCVR un’ottima lettura. C’è chi l’ha definito uno dei libri più belli letti in vita sua (e qui il mio orgoglio è salito a mille), di contro c’è anche chi l’ha definito così-così. C’è chi ha apprezzato lo stile narrativo di Whitehead, la sua abilità nell’anticipare gli eventi e andarne poi a svelare retroscena e significati solo molte pagine dopo. E c’è chi ha trovato questo escamotage particolarmente complicato, perché rallentava la lettura.

Insomma, come tutti i libri belli che si rispettino, “La ferrovia sotterranea” ha scatenato opinioni del tutto soggettive che ci hanno permesso di confrontarci. Ed è proprio questa la parte che più amo del nostro book club.

Se anche tu vuoi partecipare, ti ricordo il prossimo appuntamento: martedì 26 febbraio alle ore 19.00 presso il coworking Officina18 di Verona. Il libro di cui andremo a parlare è uno dei miei preferiti, vincitore anche questo del Pulitzer e masterpiece di una delle scrittrici contemporanee più apprezzate.

Sto parlando di “Olive Kitteridge” di Elizabeth Strout.

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Olive Kitteridge – Elizabeth Strout
(Fazi Editore)

ps. se abiti lontano da Verona e non ce la fai a passare, o se un impegno improvviso ti impedisce di prendere parte all’evento, puoi sempre interagire con noi sul gruppo chiuso che ho creato su Facebook. Lascia un commento con il tuo dubbio, il tuo parere o la tua critica: alcuni li leggeremo live durante la serata del 26/02.

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