Ivo Brandani era perseguitato dal senso della catastrofe. La vedeva in ogni iniziativa di trasformazione della realtà, in ogni edificio (che può crollare), in un aereo in volo (che può precipitare), in un’automobile in corsa (che può sbandare), in una presa di corrente (che può andare in corto), in una pentola sui fornelli (rischio di incendio), in un bicchiere d’acqua (che può rovesciarsi), in un uovo fresco (che può rompersi): tutto ciò che sta in piedi può cadere, tutto ciò che funziona può smettere di farlo. Anzi, prima o poi avrebbe smesso di farlo, questo era sicuro. ma come si sarebbe potuta evitare, quella catastrofe?
Era un evento molto lontano nel tempo, non avrebbe dovuto importargliene. invece gliene importava. Quelle genti non si era mai saputo bene chi fossero, né da dove fossero venute, né con precisione quando, né perché. Si sapeva solo che erano una secrezione etnica dell’Asia Centrale. Qualcuno aveva addirittura sostenuto che fossero nient’altro che greci che avevano cambiato religione e costumanze. di sicuro si sapeva che un paio di secoli dopo la loro prima comparsa sulle sponde del mediterraneo avevano preso Costantinopoli. E questo per lui era inaccettabile. del resto, a partire dal 29 maggio del 1453, in ogni generazione umana sono esistite persone che non riuscirono a farsi una ragione della caduta di Bisanzio.
L’ingegner Ivo Brandani era tra queste.
Noi tutti ci aspettiamo dai tecnici solo quei sani pragmatismi e positivismi che consentono agli ignoranti, come agli intellettuali puri, di prendere un aereo, di percorrere un ponte inautomobile, di salire su un treno, una nave, con ragionevoli probabilità di non lasciarci la pelle. i tecnici fanno sì che esistano oggetti chiamati case, ponti, aerei, treni, gallerie, razzi, satelliti e stazioni spaziali, automobili, computer eccetera e noi li vogliamo simili ai loro ritrovati, conformi all’oggetto delle loro attenzioni. Li vogliamo disincantati e attenti, neutrali rispetto alle cose della politica, anche se li immaginiamo difficili da ingannare, perché propensi alla verifica e restii a dare più importanza alle parole che ai fatti. i tecnici li vogliamo non-sofisticati, meglio se un po’ ignoranti. insomma ci fidiamo di più se sembrano distaccati e un po’ ottusi, se gli vediamo in mano un giallo piuttosto che un libro di poesie. Non ci aspettiamo da un ingegnere ossessioni e risentimenti come quelle che abitavano nella mente di Ivo Brandani.
Quando per la prima volta era stato a Istanbul per lavoro gli era capitato di entrare in una piccola moschea a ridosso delle mura sul mar di marmara. Sulla carta era indicata come Kucuk Aya Sofya Camii, che tradotto in inglese era Small Ayasofya mosque, ma sulla sua guida risultava anche come SS. Sergio e Bacco. Si trattava di una chiesa bizantina poi trasformata in moschea, che, non ostanti i suoi millecinquecento anni, le diffuse iscrizioni coraniche sulle pareti intonacate di bianco e una probabile ripulitura iconoclasta da ogni immagine e mosaico precedente, sembrava ancora ben conservata.
[Incipit] La vita in tempo di pace – Francesco Pecoraro
10 anni ago