Chi l’ha detto che il 13 porta sfortuna? Non di certo Alice Munro, che nel 2013 è stata insignita del Nobel per la Letteratura; tredicesima donna a entrare nella lista dei personaggi eccellenti vincitori del premio conferito dall’Accademia di Stoccolma.
Grazie a un attento e appassionato libraio che l’aveva posizionato in bella vista sugli scaffali, alcuni mesi fa ho acquistato Nemico, amico, amante… di Alice Munro. Non la conoscevo e non ho letto la biografia dell’autrice né prima di acquistare il libro né dopo averlo letteralmente divorato in pochi giorni. Non volevo essere influenzata dalle informazioni sulla quarta di copertina e, se non fosse per il gran parlare che se ne è fatto in occasione dell’assegnazione del Nobel, non avrei mai pensato che si trattasse di una simpatica signora sull’ottantina. La scrittura semplice e allo stesso tempo incisiva me l’aveva fatta figurare come una giovane scrittrice in cerca del successo, che per me era più che confermato. Sono felice di aver letto una sua opera prima della consacrazione ufficiale, perché così ho apprezzato ancora di più la scelta dell’Accademia svedese. E ho già messo in ordine la sua raccolta di racconti edita da Mondadori per la collana I Meridiani!
Bio
Nata il 10 luglio 1931 a Wingham, Ontario – Canada, Alice Munro ha iniziato a scrivere racconti fin da adolescente.
Il suo primo lavoro The Dimensions of a Shadow lo buttò giù di getto, nel 1950, mentre ancora frequentava l’università. Insignita per ben tre volte del prestigioso Governor General’s Literary Award (il più famoso premio canadese per la letteratura), rispettivamente nel 1968 con La danza delle ombre felici, nel 1978 con Chi ti credi di essere? e nel 1982 con Per le lune di Giove, è stata più volte paragonata a grandi maestri della letteratura come il russo Checov. Ha cambiato il suo cognome da nubile (Laidlaw) quando ha sposato il marito Jim Munro, con il quale ha aperto una libreria Munro’s Books, tutt’ora presente a British Columbia. Da questo si è poi separata nel 1970 e sei anni dopo ha sposato Gerald Fremlin, suo vecchio compagno di università, con cui adesso vive nella città di Clinton.
Le opere
Con una media di un libro ogni 4 anni, la scrittrice ha collezionato ben 14 raccolte di racconti e un romanzo*.
- Dance of the Happy Shades (1968) – La danza delle ombre felici (1994)
- Lives of Girls and Women* (1971)
- Something I’ve Been Meaning to Tell You (1974)
- Who Do You Think You Are?, pubblicato anche col titolo The Beggar Maid (1978) – Chi ti credi di essere? (1995)
- The Moons of Jupiter (1982) – Le lune di Giove (2008)
- The Progress of Love (1986) – Il percorso dell’amore (1989)
- Friend of My Youth (1990) – Stringimi forte, non lasciarmi andare (1998)
- Open Secrets (1994) – Segreti svelati (2000)
- Selected Stories (1996)
- The Love of a Good Woman (1998) – Il sogno di mia madre (2001)
- Hateship, Friendship, Courtship, Loveship, Marriage (2001) – Nemico, amico, amante…, (2003)
- No Love Lost (2003)
- Runaway (2004) – In fuga (2004)
- The View from Castle Rock (2006) – La vista da Castle Rock (2007)
- Too Much Happiness (2009) – Troppa felicità (2011)
Questo genere, così snobbato dai grandi critici, torna adesso in auge con quella che è stata definita la “maestra del racconto breve contemporaneo” (master of the contemporary short story). A vincere non è solo una grande scrittrice ma anche un filone interessante come quello dei racconti brevi, che trattano tematiche odierne e comuni. Alice Munro è maestra nel rivestire di un alone magico esperienze banali e quasi insignificanti, è abile nel raccontare le difficoltà di comunicare tra generazioni e sessi diversi, con indagini profonde e introspezioni degne di James Joyce. L’ambientazione tipica delle storie da lei narrate è quella della piccola realtà di provincia, dove da azioni apparentemente insignificanti nascono grandi epifanie. Dall’adolescenza alla maturità, la scrittrice canadese affronta le tematiche più varie, dando al lettore uno squarcio di vita comune che la sua abile scrittura rende qualcosa di straordinario.
Dicono di lei
Riporto come citazione un estratto da un articolo su Alice Munro scritto una decina d’anni fa da Pietro Citati, che mi sembra descrivere alla perfezione tutte le sue peculiarità.
Se dovessi consigliare ai lettori italiani due libri di narrativa di lingua inglese appena pubblicati in Italia, non avrei esitazioni: Il sogno di mia madre (Einaudi pagg. 368, euro 17,56) e Nemico, amico, amante… (Einaudi, pagg. 322, euro 18), entrambi di Alice Munro, tradotti con eleganza da Susanna Basso. So che, in Italia, forse appena trenta persone conoscono che Alice Munro è nata, settantun anni fa, in Canada e ha scritto dieci raccolte di racconti e un romanzo. Invece milioni di americani, inglesi, francesi, italiani, tedeschi leggono delirando i romanzi sovente pessimi, talora mediocri, rarissimamente buoni di Philip Roth. Ma spero che, a poco a poco, quelle trenta persone si moltiplicheranno, perché i buoni lettori sono come la zizzania dei Vangeli. E, fra pochi anni, chiunque vorrà parlare di un bellissimo racconto, o di una sottile accortezza narrativa, o di una visione del mondo tanto ricca quanto inafferrabile, dirà: «Mi ricorda un libro di Alice Munro. Lo leggerò subito».
Ho parlato di racconto. E mi accorgo di sbagliare. Perché non esiste il racconto secondo la Munro, ma ne esistono molte forme e incarnazioni, anche in queste due ultime raccolte, pubblicate nel 1998 e nel 2001. Ogni volta che iniziamo una di queste storie penetriamo in un nuovo cosmo narrativo, che obbedisce a proprie leggi e preferenze, e ogni volta ci sentiamo spaesati, stupiti, talora sconvolti. Non capiamo, e solo lentamente ci abitueremo alle omissioni, alle sorprese, alle deviazioni, aglii balzi di tempo, ai bianchi profondi come abissi che ne costellano la superficie. Forse la Munro preferisce il racconto lungo: Una donna di cuore e Nemico, amico, amante…, il primo di ottantacinque il secondo di cinquantacinque pagine, sono i capolavori delle due raccolte. Essi sono concentratissimi come racconti di James: a volte abbiamo l’impressione che si complichino come i romanzi di Balzac, o contengano storie di intere famiglie e paesi come Guerra e pace. Quando appare un personaggio, crediamo che sia quello principale, poi se ne affaccia un altro, che ne prende il posto, e poi ancora un altro e ancora un altro: mentre il primo personaggio si sposta, cambia idee e natura, e ci sembra di non riconoscerlo più. Non ascoltiamo la Munro, la quale sostiene di «non costruire storie», ma «di acciuffare con la mano qualcosa nell’aria», seguendo una intuizione misteriosa. Ciò che ammiro, nel Sogno di mia madre e in Nemico, amico, amante… è in primo luogo l’arte di una costruzione tanto ampia quanto meticolosa, che calcola tutti i particolari e li dispone in un arco vasto come il mondo.
Da Henry James, il padre di tutti coloro che, nei tempi moderni, raccontano storie, Alice Munro ha imparato che la prima qualità di un racconto è l’enigma: ogni storia è un mistero, che la collaborazione dell’autore e del lettore portano lentamente alla luce. Appena entriamo in un racconto, c’è un piccolo enigma, e poi un altro piccolo enigma, e poi un terzo e un quarto. Ecco una prima sorpresa: la signora, che ha appena comprato un elegante vestito nuovo, è in realtà una domestica: poi c’è un’ enorme omissione o un radicale capovolgimento o una travolgente scoperta – le lettere d’amore di Ken Boudreau a Johanna sono state scritte da due ragazze impudenti. L’ inatteso si nasconde in ogni riga; oppure si scatena la più romanzesca e melodrammatica inverosimiglianza. Alla fine, il vero modello sembra essere il grande genio, tenero e tenebroso, che ha ispirato la letteratura americana: Nathaniel Hawthorne. Se possiamo dare un consiglio ai lettori, è quello di leggere con grandissima attenzione, perché perdere un solo particolare, o un’allusione temporale o il colore di un vestito o di una nuvola o un sorriso, lo porterebbe irrimediabilmente fuori strada. Ma il lettore non abbia timore: la Munro non è una scrittrice per pochi: parla a tutti, e racconta le storie di tutti, le storie che accadono al contadino, alla domestica, all’infermiera e al bambino di tre anni, e quindi ad ognuno di noi che leggiamo e fantastichiamo. Di rado, in questi racconti, appaiono storie di scrittori. Se i personaggi scrivono, sono ragazze: forse diventeranno grandi come Virginia Woolf o Karen Blixen; ma intanto raccontare, per loro, è come intrecciare i fili di un pullover o rammendare un lenzuolo o preparare una frittata di zucchine. Qui appare, come si diceva una volta, la vita quotidiana. Possiamo essere certi che, a Vancouver o nelle piccole città dell’Ontario, quarant’anni fa, o ieri, accadeva esattamente così. Questi erano i riti dei funerali: le battute pronunciate durante i matrimoni: queste le tartine alla crema o all’uvetta: questo il vestito pré-maman; queste le pieghe che si formavano nei vestiti di lino, o i minuscoli fiori rosa, giallo o azzurro, ricamati negli angoli dei tovaglioli. Di solito, abitiamo in una famiglia; e partecipiamo a quell’intreccio di voci, oggetti, cose taciute, tensioni nascoste, odi profondissimi, portati in cuore per tutta una vita, che è una famiglia. In un secolo, la famiglia si è trasformata. Eppure essa è ancora, come quando Tolstoj scriveva Anna Karenina, il simbolo più evidente di quell’inestricabile intreccio che è l’arte del racconto e del romanzo. Dove c’è una famiglia, ci sono mobili, letti, lampadari, tappeti, poltrone, sofà, cucine, librerie: una massa di oggetti riempie le case europee ed americane. La Munro possiede un vero genio per gli oggetti e gli interni famigliari: genio che sembra discendere dal più grande pittore di interni che sia mai esistito, Balzac, sebbene le nostre case siano tanto più vuote di quelle del 1830 o del 1840. La Munro conosce il peso, il colore, la massa, il volume, il rilievo di ogni mobile, e il rapporto che intrattiene con ogni persona della famiglia. Sebbene molti sostengano che il mondo di oggi sia astratto e disincarnato, lei continua, imperterrita, a raccogliere letti, vestiti e tartine nelle sue storie fantastiche. La Munro ha due passioni: quella per le deviazioni narrative e quella per i bianchi. Molto spesso, quando racconta un fatto, non narra quel fatto e i sentimenti e le sensazioni che esso suscita: ma qualcosa di apparentemente laterale: invece di analizzare le sensazioni di una donna che sta per morire di cancro, descrive una bottega di calzolaio o un cane che si aggira in un cortile; suscitando in noi un’impressione di casualità e di gratuità, che ci sembra assolutamente necessaria. O, all’improvviso, apre uno spazio bianco in un racconto. In quel bianco trascorrono anni, decenni: un abisso allontana il presente e il passato: il tempo passa senza che nessuno se ne accorga; e noi avvertiamo, al tempo stesso, il senso della continuità e quello della lacerazione che formano il tessuto diseguale della nostra vita. Vi sono grandi scrittori, come Dostoevskij, che prima di cominciare a scrivere sono posseduti da grandiose idee sul mondo, sebbene poi la loro immaginazione, che si prende gioco di qualsiasi idea, si impossessi delle idee e le trasformi fino ad architettare quel labirinto quasi incomprensibile di relazioni che è un vero romanzo. La mente della Munro è pura: nessuna idea preconcetta macchia o adombra la sua obiettività straordinaria, che forse qualcuno potrebbe paragonare a quella di Dio o della morte. Quando la leggiamo, tutto ci sembra incantevole: ma lo sfondo, vasto e intermittente, che si avverte in ogni riga, è pieno di minacce – morti sinistre, destini incomprensibili, dolori che nessuno potrebbe sopportare, disastri, irruzioni di qualcosa che assomiglia all’amore, le tremende ferite che ci infliggono i morti; o, al contrario, beffe crudeli che realizzano i piani di colei che, forse, porta il nome di Provvidenza. Non sappiamo cosa la Munro pensi della vita: suppongo che accetti religiosamente tutto ciò che accade, e nutra una «ferrea devozione» verso quello che vede; eppure cerchi, con calma, lentamente e segretamente, di mettere ordine nell’esistenza. Sebbene da nessuna parte si intraveda una luce, l’arte è ancora, per lei, un timido tentativo di mettere ordine nelle cose scritte e, dunque, anche in quelle che sono accadute, accadono ed accadranno nel mondo.
Voi avete letto qualcosa di Alice Munro? Concordate sulla scelta di questa scrittrice come vincitrice del Nobel 2013?
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